Io non so se il pittore cetonese Lionello Balestrieri quando all’età di 22 anni si recò a Parigi, prendendo alloggio in una soffitta d’un grande palazzo popolare e lavorando come aiuto del fiorentino Tofani alle illustrazioni di riviste e giornali parigini, avesse una recondita ambizione, la stessa unita all’orgoglio che oltre un secolo dopo manifestiamo noi, suoi concittadini, trovando occasioni e modi per celebrare anche aspetti della sua carriera artistica.
Possiamo solo immaginare che il desiderio di ottenere una sua particolare riconoscenza nel futuro, Balestrieri lo avesse simbolicamente rappresentato e auspicato nel quadro dipinto nel 1897 titolandolo “Aspettando la gloria” – rappresentando, in quella soffitta parigina, una condizione di vita di artista squattrinato condivisa con il suo amico violinista Giuseppe Vannicola.
Una vita da Boèmiem in una soffitta di Parigi economicamente sfangata grazie alle sue piccole illustrazioni pubblicate anche sul giornale le Figarò.
Forse l’artista Balestrieri, a un certo punto della sua produzione artistica, si rese conto, dipingendo prima il grande e scenografico dipinto del Beethoven (1899), premiato con medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 e nuovamente esposto a Venezia nel 1901, dove sarà acquistato per 5000 lire dal Museo Revoltella di Trieste, (nel quale tutt’ora trovasi) e dipingendo poi tanti altri soggetti romantici – ispirati dalle musiche e dalle amicizie con Puccini – come “La morte di Mimì” in cui ritrae se stesso nella figura di Rodolfo, il trittico Chopin (1904), il Notturno, la Manon e altri, di assumere su di se, l’ingombrante ma significativo soprannome, del “pittore della musica” ma soprattutto che lui cetonese, dopo studi artistici tra Roma e Napoli, da umile decoratore di stanze si sarebbe legato per sempre direttamente o indirettamente all’universalità dell’arte…
Quell’universalità legata nell’omaggio dedicato lo scorso anno al 250° anniversario dalla nascita di L. V. Beethoven, quell’universalità legata in questo 2021 al 700° anniversario della morte del Sommo Poeta al quale oggi rendiamo omaggio con questa seconda iniziativa che riguarda appunto le illustrazioni della Divina Commedia…
Le illustrazioni della “Divina Commedia” hanno una tradizione antica quanto la diffusione del poema da cui traggono ispirazione.
Dalla prima metà del ‘300 ad oggi, artisti di ogni genere si sono lasciati attrarre dalle suggestive immagini create dalla mirabile penna del “Sommo Poeta” producendo una quantità di opere davvero inimmaginabile.
Ai tempi della prima diffusione della “Commedia” non esisteva ancora il libro come lo intendiamo oggi. Negli antichi manoscritti parole e immagini si intrecciavano in un connubio perfetto e le immagini svolgevano un importante ruolo “paratestuale”, fornendo una precisa chiave di lettura al testo.
I primi illustratori della “Commedia” ebbero il compito di codificare un linguaggio per immagini che fosse allo stesso tempo adatto a tradurre il testo e a preparare il lettore al racconto.
La diffusione della Divina Commedia si protrasse per tutto il Rinascimento tuttavia subì una battuta d’arresto tra il ‘600 e il ‘700. La Rivoluzione scientifica e l’Illuminismo fecero perdere al poema simbolico-allegorico di Dante buona parte del suo appeal, facendolo finire momentaneamente nel dimenticatoio.
Ma il mito di Dante torna nell’800
Il potere di fascinazione di un’opera tanto sublime riuscì a far nuovamente breccia nel cuore di uomini e donne con il Romanticismo.
L’esilio, la lotta politica, il viaggio, le pene d’amore (vedi il Canto V dell’”Inferno”), il sentimento religioso furono tutti argomenti particolarmente cari alla corrente culturale che caratterizzò il 19esimo secolo, per cui fu naturale una rivalutazione del poema.
La “Divina Commedia” e più in generale la figura di Dante divennero il centro di un vero e proprio movimento culturale.
Impazzò una sorta di dantemania e le opere ispirate alla “Divina Commedia” di Dante si moltiplicarono in maniera esponenziale.
Le sperimentazioni artistiche legate alla “Divina Commedia” non si interruppero con la fine del 19esimo sec – da qualcuno definito addirittura come “il secolo di Dante”– anzi si può affermare che da allora non si siano più interrotte. Tanto per capire, dopo la Divina Commedia in fumetti della Disney, anche Gabriele Dell’Otto, uno degli 8 illustratori mondiali che firmano le copertine per Marvel America – è diventato celebre per aver illustrato i canti della Divina Commedia di Dante, spiegati dal prof Franco Nembrini.
Ma torniamo a noi…
Una di queste significative sperimentazioni dei primi del ‘900, legate al poema dantesco, è stata la “Divina Commedia novamente illustrata da artisti italiani” curata da Vittorio Alinari e pubblicata a Firenze a partire dal 1902.
I molteplici interessi artistici e letterari di Vittorio Alinari (1859-1932) costituirono la premessa per il concorso che bandì nel maggio del 1900 invitando gli artisti italiani a illustrare nuovamente la Divina Commedia.
Il bando di Alinari fu accolto da trentuno pittori e disegnatori di tutta Italia, in buona parte giovani, alla ricerca di un’affermazione personale in un’impresa che consentiva loro la possibilità di misurarsi con un testo importante in grado di fornire grandi possibilità all’elaborazione fantastica. (In quel momento Balestrieri era a Parigi a godere il successo ottenuto con il suo Beethoven)
Ogni illustratore doveva mandare saggi illustrativi di almeno due canti del poema, più due testate e due finali, si sarebbero poi proclamati i vincitori ed esposti i disegni in una mostra pubblica nei locali della Società Fiorentina di Belle Arti. Tutte le tecniche erano ammesse, compresa la pittura ad olio, anche se generalmente gli artisti optarono per il disegno a penna, matita, carboncino o acquerello tendente al monocromo.
La giuria – appositamente composta, il 13 giugno 1901, in occasione della mostra, decise di assegnare il primo premio al giovane Alberto Zardo per i disegni dei Canti VIII e IX dell’Inferno, Il secondo ad Armando Spadini per i disegni dei Canti XII e XXV, e un terzo riconoscimento, aggiunto all’ultimo momento, fu condiviso ex-aequo tra Duilio Cambellotti e Ernesto Bellandi.
Tuttavia la mancanza di un reale vincitore giudicato con le qualità necessarie per sostenere l’intera illustrazione del poema portò l’editore a far uscire nel 1902 il primo volume dell’Inferno stampato in edizione di lusso da Salvatore Landi con le riproduzioni di quasi tutte le opere pervenute dai vari concorrenti.
In seguito, al fine di completare l’illustrazione delle cantiche del Purgatorio e del Paradiso, Alinari estese l’invito ad altri protagonisti del panorama figurativo del momento, tra i quali il nostro cetonese Lionello Balestrieri, (in quel momento tornato in Italia ) mantenendo sostanzialmente intatto il principio della compagine eterogenea che mischiava veristi e simbolisti, artisti più maturi e nuove leve. Nel 1903 l’edizione veniva finalmente portata a termine con il ragguardevole numero di 388 illustrazioni, tra riproduzioni in bianco e nero di diversa grandezza nel testo e tavole fuori testo stampate col procedimento della collotipia, virate di volta in volta in sanguigna, in seppia, in azzurro, eseguite da un totale di una sessantina di artisti.
Il risultato fu un’opera illustrata collettiva, eclettica, discontinua per qualità e tendenze che suscitò all’epoca più di una critica per le sue difformità, anche se la linea emergente e volta al nuovo era quella di inclinazione simbolista, idealista e floreale che riguardava una generazione di artisti che si affacciavano alla ribalta trovandosi di fronte alla possibilità straordinaria di misurarsi con un testo eterno e fuori dal tempo, con la dimensione di un sogno umano e soprannaturale, avventuroso e profondo.
Al di là delle etichette, La Divina Commedia Alinari rimane uno straordinario documento di un’epoca di trapasso che scardinava le convenzionalità accademiche ottocentesche alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi che caratterizzassero con maggior libertà lo spirito e l’individualità dei singoli artisti, nonché un importantissimo episodio della storia dell’illustrazione e dell’editoria italiana che si aggiornava e teneva il passo con il panorama internazionale, divenuto ormai da alcuni decenni oggetto di studio e di approfondimento sulle svariate tendenze dell’arte italiana all’alba del ‘900.
In tutto questo contesto di fervore artistico il cetonese Balestrieri fece la sua parte ! Nel bene o nel male a giudizio degli storici dell’arte…che a questo punto vado a presentare:
ci fa onore e ne siamo grati ringraziando per la sua gentile disponibilità il Prof Carlo Sisi dal 2018 presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Il Prof. Carlo Sisi è’ stato direttore della Galleria d’Arte Moderna e della Galleria del Costume di Palazzo Pitti di Firenze ove parallelamente alle attività di conservatore si è impegnato a promuovere, con mostre e altre iniziative, la conoscenza dell’arte dell’Ottocento e Novecento.
Delle stesse gallerie ha curato l’intero riallestimento con l’edizione del catalogo generale. È stato, sino al 2016, presidente del Museo Marino Marini e dal 2006 al 2016 consigliere d’amministrazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ora Fondazione CR Firenze. Ha curato l’allestimento della Galleria d’arte moderna di Palermo e il nuovo percorso della Collezione Chigi Saracini di Siena. È attualmente membro del Consiglio scientifico del Mart di Rovereto (Trento). E’ in particolar modo esperto dell’arte italiana ed europea del XIX e del XX secolo e sull’argomento ha scritto diversi volumi. Ha curato anche la collana L’Ottocento in Italia.